Daily Archives: June 9, 2008

Be kind, let me rewind

Un bel modo per cominciare un blog per me è parlare di un film che mi è piaciuto, che racconta quello che mi appassiona e che studio. Il film è Be Kind Rewind. Dal mio punto di vista è cibo e aria per la mente. Lo si potrebbe definire un metafilm. Una metafora sul futuro del cinema. Ce ne sono tanti, ok. Ma questo è particolare. Un film sul cinema come patrimonio culturale di chi lo guarda, che ci nutre e non si consuma. Rimane dentro di noi, diventa noi, si impasta con i nostri ricordi e le nostre emozoni, tanto che noi, gli spettatori, possiamo, vogliamo diventare lui. Il cinema, il film. Che lo si voglia o no.

Dopo una partenza che sembra inconcludente (l’ho rivisto una seconda volta e non mi sembra affatto inconcludente, anzi!) Be Kind Rewind sceglie di rappresentare la Settima Arte come un negozio di videocassette scalcinato alla base di una palazzina pericolante che minaccia di essere abbattuta per far posto ad un complesso urbano moderno. Sempre che non si trovi il modo di restaurarla, la palazzina, coi proventi del negozio. Che però non gira a sufficienza. Non va. Tanto da sembrare un’impresa disperata e praticabile solo a costo di passare dal VHS al DVD (maggior volume di titoli in meno spazio) e da una strategia archivistica a una consumistica (più copie degli stessi titoli al posto di più titoli in meno copie). E così ci salta alla mente che in questi ultimi 10 anni i distributori di homevideo hanno fatto la cosa meno intuitiva per la funzione alla quale dovrebbero assolvere, ovvero fare arrivare i prodotti cinematografici nelle nostre case: non hanno sfruttato la magrezza del supporto nuovo e la disponibilità di nuovo spazio per aumentare la varietà (di titoli, di generi), o per garantire più copie data la stessa varietà, ma hanno ridotto drasticamente la scelta aumentanto a dismisura il numero di copie. Il vecchio gestore della videoteca, che vede al nuovo modello distributivo come l’unico in grado di salvarlo (è questo quello che ci dicono e ci ‘dimostrano razionalmente’), ci fa venire le lacrime agli occhi quando si preoccupa di trovare un lettore dvd a prezzo calmierato da consigliare ai suoi clienti, che sono poveri e non lo posseggono perchè non serve loro. Ci ricorda così lo sforzo economico che abbiamo dovuto sopportare e il costo che questo switch – uno dei tanti – ha avuto per le classi più povere (l’ha avuto per tutti, ma per chi non c’ha i soldi per pagare l’affitto è stato maggiore). Mentre il signor Fletcher ci fa riflettere sulla deriva consumistica della distribuzione cinematografica, una coppia di ragazzi completamente fuori di testa avvia una contro-innovazione. Sono: il gestore giovane della videoteca-cinema e un avventore abituale fuori come un balcone. Insider e outsider, accomunati dalla passione per il cinema, o se non altro dal fatto di aver visto molti film. Telecamera low cost alla mano, si mettono a taroccare i film della videoteca. Lo fanno perchè tutte le cassette si sono disgraziatamente smagnetizzate. Lo fanno come espediente temporaneo che a loro pare sensato per soddisfare, seppure a tradimento, la clientela. E lo fanno sbobinando la loro memoria, quel complesso di ricordi ed emozioni che diventa un film quando lo guardiamo e si amalgama col nostro vissuto. Perchè le cassette sono smagnetizzate. Non si vedono e non si possono copiare. Nulla. Sopresa: la clientela – i giovani in primis – non si sente tradita da una cassetta di 20 minuti in cui Jerry e Mike avvolti nell’alluminio riproducono le scene di Ghostbuster (…versus Blockbuster..?) che si ricordano e che possono fare coi loro mezzi. Ne vogliono altre, vogliono altri tarocchi, li chiedono, li pagano di più, si divertono di più. Solo che la premiata ditta Mike & Jerry non riesce a sfornare così tanti tarocchi in così poco tempo. Una loro amica, Alma, ingaggiata per caso, pensa che magari i ‘clienti’ sarebbero contenti di partecipare come attori. In questo modo si fanno più film, al limite anche più brevi, ma con un valore maggiore per chi poi li guarda, che ci si ritrova. E così avviano una rutilante attività di produzione fino a quando arrivano i cattivi di turno a calpestare – letteralmente:) – tutto il lavoro per violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Il che ci appare assurdo poichè questa compagnia di attori entusiasti ha attinto solo ai propri ricordi, non ha contraffatto un bel nulla. Il risultato era qualcosa di completamente diverso e migliore agli occhi di chi li sceglieva. Una sfolgorante Mia Farrow allora ci ricorda che il passato di ognuno è un serbatoio di immagini ed informazioni su cui nessuno ha messo (ancora) il copyright e che è lecito riusare e taroccare per fare un film nuovo. Scelgono di cimentarsi in un documentario: lo realizzano tutti insieme, lo montano insieme (la scena del montaggio collaborativo si merita una cornice speciale) lo guardano commossi, emozionati, trascinati (pagando su base volontaria per vederlo!), raccogliendo una quantità di entusiasmo tale da rapire anche gli aguzzini accorsi per abbattere la palazzina. Straordinario l’omaggio finale al film muto. Questa è la salvezza del negozio pericolante, questa è la salvezza del cinema. Scrive Michel Gondry. Da vedere. Da ridere. Da sottoscrivere.